mercoledì 14 marzo 2012

Rosa ...


Scesero le luci dell’alba ad illuminare l’ultimo spiraglio di insano pensiero coltivato durante tutta la notte che la precedette. Lenta la nebbia dissipandosi squarciava la coltre di nubi che sembravano aver avvolto quel pensiero inglobandolo come un bozzolo. Ma nessuna farfalla vi sarebbe nata. Sterile crisalide atta solo a nascondere pudori e vergogne confessate, professate e forse non del tutto conclamate. Il vento soffiava piano. Le chiome sembravano aprirsi al suo passaggio permettendogli di passare senza far danno. Spettacolare la natura nel suo palesarsi perfettamente anche nelle cose più piccole. Un lontano ticchettio sembrava avvicinarsi formando una melodia ben nota … ed ancora la pioggia cadde a rigare quel volto adornato di lontane reminescenze che ne delineavano perfettamente i contorni. Solo l’improvvisa luce dall’est proveniente sembrava opacizzarli fino quasi a farli scomparire. E di nuovo fu giorno, senza speranza di ritorno, con tutta l’amarezza che aleggiava attorno in attesa di qualche cosa che non sarebbe infine giunto.
Il capo chino poggiava la fronte alle ginocchia raccolte, gli occhi aperti fissi al vuoto che sembrava provenire da ogni dove e riempire ogni spazio. Le pieghe si infittivano addensandosi di nostalgiche malinconie mentre i denti laceravano le labbra straziate da troppe assenze. Le braccia s’avvinghiavano alle gambe mentre i piedi battevano piano il ritmo scostante del cuore. Il sangue rumoreggiava fluendo nelle vene trasportando ogni sostanza al punto d’incontro che si prestava a riassemblarne i pezzi. Echi lontani giungevano alle orecchie come tuoni impetuosi a tratti e flebili sussurri ad altri. La confusione aumentava di intensità con lo scorrere inesorabile del tempo.
Nessun raggio di sole ad asciugare i capelli inzuppati che scendevano sulle spalle bagnate di pioggia, nessun rassicurante calore a proteggere quell’esile corpo in balia delle intemperie del primo mattino che così  lo sorprese … fragile, vulnerabile, facilmente spezzabile. E lontano volava il pensiero galoppando incosciente su un arcobaleno che ancora non aveva fatto capolino tra la fitta tempesta, stringendo il ricordo di un rimbombar di voci dai toni severi ed a volte gioiosi. Accarezzavan le mani le gambe, mentre dal lato della bocca scendeva un rigagnolo di sangue tra le pieghe delle labbra massacrate.
A terra la Rosa. Austera. Imperiosa. Bella come non mai con la corolla di velluto inzuppata di lacrime di pioggia che come rugiada pareva dischiudere piano i petali esibendoli in tutta la loro magnificenza. E forte l’arbusto di spine che da essa scendeva, pronto a colpire conficcandosi tenacemente nella mano di chi avesse osato toccarlo, o anche solo … sfiorarlo. La pioggia danzava d’intorno ed il vento iniziò ad intonare il suo canto.
Fiume impetuoso divenne il suo sangue, a tratti rappreso per il dolore e a tratti pulsante per la speranza di poterlo ricacciare da dove era giunto. Deglutì a fatica trattenendo il respiro. Il battito si fece costante pian piano rallentando la sua folle corsa verso una meta del tutto ignota e difficilmente raggiungibile. Le pupille abbassarono i battenti e le braccia si fecero pesanti cadendo sull’arbusto di Rosa che ivi giaceva inerme. Le mani da pugno si aprirono piano in un abbandono di morte che somiglia ad un sonno improvviso che giunge senza preavvisi e coglie, falciando, quello che trova.
Il tempo perdeva dimensione mentre la dimensione del tempo mutava le sue forme. Abbandonata ed attonita a terra, agonizzante nei suoi stessi introspettivi pensieri lasciò che la testa cadette all’indietro sprofondando sul fradicio selciato frustando in caduta la Rosa … si dispersero i petali in ogni dove, non lasciando nemmeno il ricordo dello splendore che l’aveva un tempi illuminata. L’eterno ricordo non dura che un irrisorio istante se posto vicino alla linea di confine che ne taglia in netto contorno la via.
Immobile a terra mentre la pioggia incalzava i suoi ritmi, si poteva percepire un respiro lontano, un battito debole, un rigo di sangue e petali sparsi tra i capelli bagnati … la spina più grande nel cuore era conficcata, così in profondità da non poter essere trovata per esser rimossa. Pronta  a penetrare un’anima fragile in preda alla sua stessa disperazione. Di lontano un boato gridando feroce sfregiò la sua promessa frantumandola a schegge violente che si infransero sui petali a terra lacerandoli e facendone scempio.
Disonorevole indecenza che lasciava aperte le porte all’impetuosa consapevolezza di essere impotente e potere solo subire, guardando come da lontano, come se la prospettiva fosse del tutto uscita dal suo campo visivo. In alto volava il pensiero e da sopra raccolse l’immagine spettrale che vedeva proiettata come in un macabro film dell’orrore. Aperta la mente, squarciato il cuore, a brandelli la carne, denudata l’essenza di quello che avrebbe potuto essere senza avere avuto il tempo di divenire.
Fretta la fretta maledetta che correva nelle pieghe della pelle allargandole deridendola. A nulla sarebbe valso rallentare il pensiero o cercare di afferrarlo per metterlo al bando. Tardi era dannatamente troppo tardi per tutto. E stavolta la consapevolezza l’avvolse totalmente stringendola a morsa e levandole l’ultimo respiro. Le palpebre si aprirono col le pupille fise al cielo sotto il picchiar della pioggia, che come aghi entravano impedendo ogni visione ed esaltando un dolore latente.
Morta. Era morta e non sepolta. Immonda sotto un’acqua purificatrice che mondava ogni indecenza. Fredda la pelle bagnata non emetteva lamenti. Urlava in silenzio come aveva imparato a fare … ma era tardi. Troppo tardi. La vita scivolava dalle dita e raccolta dal rigagnolo di pioggia che trasportava con se i resti della Rosa. Nessun pensiero poteva illuminare più. Nessuna speranza riaccenderne il sorriso. Nessuna mano l’avrebbe più sollevata.
E con questa consapevolezza riuscì a portarsi una mano al petto a nasconder la spina che lentissimamente la stava uccidendo, proteggendola dall’ombra nel caso si fosse azzardata a tentar di salvarla per poterla più crudelmente devastare l’attimo dopo. Un ultimo respiro l’abbandonò tristemente lasciandola sola, esattamente come era nata e vissuta. Sola!

2 commenti:

SquilibrioDeiSensi ha detto...

..sono qui piccola mia..ad immaginare per te un raggio di sole che ti asciughi e scaldi,a tenderti una mano che tolga quella spina maledetta...
vorrei sentirti serena..ma so che ora non è possibile.
vorrei stringerti forte.
ti penso.

Pure Poison ha detto...

@SquilibrioDeiSensi: la mia NON serenità è anche la tua... la percepisco sentendola anche se ancora non ho trovato il tempo per divorare le tue parole come di solito accade.
Sensazioni ... mi ci affido ciecamente lo sai bene.
Ti abbraccio ricordandoti ... che nemmeno tutto questo dolore può durare in eterno .. deve cedere il passo a tutti gli altri (smuack)

Un bacio in fronte piccolina :*